martedì 6 gennaio 2015

i Carabinieri nella difesa di Roma nel 1943


fonte: ANCFARGL

resoconto ufficiale su www.carabinieri.it

I carabinieri nella difesa di Roma (8-10 settembre 1943)


Alla notizia dell’armistizio tra il Regno d'Italia e gli anglo-americani, le unità  tedesche dislocate nei pressi di Roma reagiscono immediatamente
Alle 20,30 dell’8 settembre 1943 la 2a Divisione paracadutisti, da Pratica di Mare, e la Divisione corazzata, dalla zona di Bracciano, iniziano un’azione convergente per impadronirsi della Capitale.
A difesa della città, nella zona compresa tra la Magliana e Tor Sapienza,
E' schierata, col compito di interdire l’accesso a Roma dalla Via del Mare, la Divisione "Granatieri di Sardegna" i cui capisaldi vengono subito investiti dai paracadutisti tedeschi, comandati dal gen. Richard Heindrich.
Di fronte alla forte pressione germanica nella zona della Magliana, alle ore 23 dello stesso giorno, il Comando Generale dell’Arma, su ordine dello Stato Maggiore Esercito, dispone che la Legione Allievi Carabinieri invii subito nell’area delle operazioni un Battaglione in rinforzo ai Granatieri di Sardegna che si stanno battendo valorosamente. Alle ore 23,30 il Battaglione Allievi Carabinieri è  già pronto in pieno assetto di guerra. Gli effettivi sono giovani allievi dai 18 ai 20 anni, carabinieri appena promossi e sottufficiali di inquadramento.

 
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L’unità, su tre compagnie, è al comando del ten. col. Arnaldo Frailich, valoroso combattente della Prima Guerra Mondiale, durante la quale, più volte ferito, era stato decorato di una Medaglia d’Argento e una Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Aiutante maggiore è il tenente Mario Figliola, comandante della 4a Compagnia è il capitano Orlando De Tommaso. Altri comandanti di compagnia e di plotone sono
il capitano Franz Colella, il tenente Domenico Maglione, i sottotenenti Elio Di Lorenzo, Antonio Neri, Antonino Mazza e Francesco Zappardino, i marescialli maggiore Arnaldo Antimi, Carlo Russo, Giovanni Bianchini e Giovanni Calderara, infine il maresciallo ordinario Ambrogio Puricelli.
Ricevuti gli ordini operativi, il Battaglione alle 23,45 muove in direzione della Basilica di S. Paolo.
Alcuni giorni dopo, in un suo articolo, rievocando gli avvenimenti di quella notte, il colonnello dei carabinieri Adolfo Vasco scriverà: "i giovani imberbi e da poco giunti alle armi, andarono incontro al battesimo del fuoco con anima di provati veterani e si dimostrarono ansiosi di incontrarsi con i teutoni".
Con questo spirito, gli allievi carabinieri si avviano al combattimento, mentre i lampi delle artiglierie squarciano il buio della notte e lo schianto dei colpi ne rompe il silenzio.


mappa degli scontri alla Magliana


Alle ore 0,30 del 9 settembre, il battaglione è già  attestato sulla destra della Basilica di S. Paolo. Il comando del settore in cui operano i carabinieri è affidato al colonnello Umberto Giordani, comandante del Reggimento Lancieri di Montebello, alle cui dipendenze agisce anche un reparto del Primo Reggimento Granatieri, già provato in precedenti combattimenti. Alle ore 2 il ten. col. Arnaldo Frailich riceve l'ordine di trasferire il suo Battaglione in località "Magliana" con il compito di agire in corrispondenza della Via Ostiense per riconquistare il nostro caposaldo numero 5 occupato dal nemico.
Sui fianchi, il Battaglione è protetto: a destra dal corso del Tevere, a sinistra dai Granatieri di Sardegna e dai Lancieri di Montebello.
Inviate in avanscoperta alcune pattuglie per garantirsi da sorprese ed impedire eventuali infiltrazioni avversarie, il Battaglione Allievi inizia l’avvicinamento all’obiettivo. Due pattuglie motorizzate da combattimento tedesche, che tentano di infiltrarsi nella nostra formazione, sono subito neutralizzate. Tutti i componenti vengono catturati.
Poco dopo, da una posizione tedesca avanzata, vengono lanciati alcuni razzi di segnalazione.
Individuato il reparto nemico, due squadre di carabinieri, al comando del sottotenente Zappardino, lo attaccano decisamente con bombe a mano. I tedeschi sono messi in fuga e lasciano sul terreno vari caduti con molte armi e cassette di munizioni. Nessuna perdita da parte dei carabinieri: un'azione breve ma decisa, intensa, risolutiva.
Alle 5, tutto il Battaglione raggiunge le posizioni per l’attacco al caposaldo n. 5: al centro è schierata la 5a Compagnia, a destra, la 4a, a sinistra la 6a.
Il caposaldo tedesco, per contrastare la minaccia, sviluppa subito un intenso fuoco di mortai contro i militari dell'Arma. Ma tempestivamente intervengono le autoblindo e i mezzi semoventi del Reggimento "Montebello" con una efficace reazione di fuoco.
Alle 5,40 il Battaglione carabinieri inizia l'attacco.

  
parà tedeschi a Roma (cannone da 75 mm)

In posizione avanzata c'è la 4a Compagnia del capitano De Tommaso. Con rapidi sbalzi il primo e il secondo plotone guadagnano 500 metri e si portano a distanza d’assalto dalla posizione tedesca, incuranti del violento fuoco delle armi automatiche nemiche. Sono seguiti subito dopo dal terzo plotone.
Il capitano De Tommaso si sposta di continuo, da un plotone all’altro per incitare i suoi uomini alla lotta, tanto che il colonnello Giordani invia sulla linea un ufficiale per ordinargli di non esporsi troppo.
Alle 6 i tedeschi, per arrestare l'avanzata della 4a Compagnia, lanciano un contrattacco che, dalla riva sinistra del Tevere, tende a colpire il nostro reparto sul fianco e sul tergo. Il ten. col. Frailich, percepito il pericolo, ordina alla 5a Compagnia di coprire il fianco della 4a. Il movimento, eseguito con estrema rapidità , frustra il tentativo avversario e costringe i tedeschi a ripiegare.
Il combattimento si riaccende violento. Alle 7 l'allievo carabiniere Alfredo Berasini, ferito all’addome da una scheggia di granata, si abbatte al suolo. Trasportato al posto di medicazione sotto il fuoco intenso delle mitragliatrici tedesche, cessa di vivere subito dopo. E’ il primo dei numerosi militari dell’Arma che cadranno nei combattimenti per la difesa di Roma. Intanto, rimangono feriti anche i carabinieri Giuseppe Lentini, Antonio Vizzini, Michele Manco, Domenico Crisi, Mario Spagnolo, Giuseppe Avaltrone, Giuseppe De Carli e l'allievo carabiniere Angelo Alfonsi. Ma l'attacco non si arresta. Si sviluppa intensamente, sostenuto dal fuoco di tutte le armi automatiche. I nazisti, per farle tacere, concentrano contro di esse il tiro dei propri mortai. Tuttavia, i carabinieri perseverano nel loro impetuoso slancio offensivo. Alle 8,30, nonostante l’aumentata intensità  del fuoco avversario, i carabinieri si portano ancora avanti.
Temendo per la vita dei suoi uomini, particolarmente esposti al fuoco tedesco, il capitano De Tommaso si prodiga senza soste, curando personalmente la dislocazione delle armi automatiche e la predisposizione della formazione per l’assalto finale. Deciso e solerte, mentre in piedi incita i suoi carabinieri all’ultimo sforzo per l'attacco al caposaldo, una raffica di mitragliatrice lo investe in pieno, colpendolo al viso e al petto.
Nei pochi attimi di vita che gli rimangono può appena gridare agli uomini della sua Compagnia, impegnati nell’azione: "Avanti! … Viva l’Italia!" .
Pochi giorni prima aveva scritto ad un familiare: "Amerei anch’io godere le bellezze della natura in un luogo dove c'è pace e beatitudine … ma nel mio cuore non c’è che un sentimento: quello che può avvertire un soldato, pronto a dar tutto per la Patria. Spero e mi auguro che gli eventi migliorino e che si possa uscire al più presto a nuova luce, quella luce che tutti – i veri italiani – bramano di vedere nel cielo d'Italia". 


cap. Orlando De Tommaso

Attorno al suo corpo inanimato si raccolgono – strisciando carponi sul terreno spazzato dal fuoco avversario – nel tentativo di soccorrerlo, i carabinieri a lui più vicini che lo hanno visto cadere.
"Voglio vendicare il mio capitano!", grida il carabiniere Antonio Colagrossi e, portatosi fino a pochi metri dal caposaldo tedesco, spara sul nemico tutti i colpi del suo fucile mitragliatore. Subito dopo, nell’atto di lanciare una bomba a mano, viene anch'egli colpito a morte da una raffica.
Il sottotenente dei carabinieri Elio Di Lorenzo, dopo la morte del capitano De Tommaso, assume il comando della Compagnia e prosegue l'azione contro il nemico.
I paracadutisti tedeschi rispondono con una intensa azione di fuoco, ma i carabinieri incalzano egualmente.
Nella situazione che va mostrandosi sempre più critica, il ten. col. Frailich decide di sferrare un deciso attacco finale con tutte le forze disponibili: il Battaglione muove compatto.
Tutti i militari dell’Arma si battono con ammirevole coraggio. Il brigadiere Antonio Bertino, comandante di una squadra mitraglieri della Compagnia, nel corso dell'azione, porta la sua mitragliatrice in posizione così avanzata da battere sul fianco i tedeschi: facendo fuoco senza tregua costituisce un valido supporto per l’attacco della Compagnia.
In questa fase dei combattimenti cadono i carabinieri Gino Schiavi e Angelo Costabile, che al comando delle rispettive squadre si erano lanciati all'assalto. I feriti sono più di trenta.

Poco dopo le 10, il caposaldo n. 5 è completamente in mani italiane. Ma i carabinieri non sostano. La 4a Compagnia, seguita dalla 5a e dalla 6a, supera la posizione appena conquistata e investe i centri di resistenza retrostanti, mentre appaiono una bandiera bianca e, con le mani alzate, alcune decine di soldati italiani, fatti in precedenza prigionieri dai germanici.
I carabinieri sospendono il fuoco, ritenendo che i tedeschi intendano arrendersi.
Ma è un espediente: i paracadutisti della Luftwaffe riprendono subito dopo a sparare colpendo anche alcuni dei prigionieri. Si riaccende violento lo scontro.
Il vicebrigadiere Giuseppe Cerini, che già in precedenti azioni ha fornito prova di generoso coraggio soccorrendo fra l’altro l’allievo Berasini ferito gravemente, porta la sua squadra mitraglieri sul fianco delle postazioni tedesche e con raffiche ben precise neutralizza due centri di fuoco avversari dotati di mitragliatrici. In seguito, mentre si accinge ad introdurre un nuovo caricatore nella propria arma, viene colpito all’emitorace destro e al braccio destro. Perde molto sangue ma, pur di non distogliere altri militari dalla lotta, rifiuta ogni soccorso e da solo raggiunge, allo stremo delle forze, il posto di medicazione.


V. Brig. Cerini

Intanto, col supporto dei carri del Reggimento "Montebello", la 5a e la 6a Compagnia, affiancate alla 4a, si lanciano in un ultimo assalto contro le posizioni tedesche, superando i fossi anticarro e le trincee avversarie.
Squadre della 4a e della 6a Compagnia – protette dal fuoco che il tenente Maglione, comandante della 6a Compagnia, indirizza personalmente contro le armi avversarie investono successivamente le residue posizioni nemiche. Numerosi tedeschi sono fatti prigionieri. Molti i soldati italiani liberati.
Alle 19,30, al Battaglione Allievi viene dato il cambio da un contingente di 200 uomini del Gruppo Squadroni Carabinieri "Pastrengo" comandato dal capitano Michele Ippolito. Sulla linea di schieramento si reca anche il ten. colonnello Gaetano Russo, comandante del Gruppo Squadroni e, dopo aver effettuato una rapida ricognizione del terreno, disloca le proprie unità a cavaliere delle rotabili e della ferrovia per Ostia.
Tra il 9 e il 10 settembre il settore viene impegnato, per tutta la notte, in aspri combattimenti. All'alba i tedeschi, dopo un intenso fuoco di preparazione, muovono in forze all’attacco delle linee italiane. Ma davanti alla reazione violenta dei carabinieri desistono.
Alle 6,40 rinnovano l’attacco, concentrandolo contro le posizioni tenute dai carabinieri. Lo scontro è cruento. Si combatte con accanimento da entrambe le parti. Infine, reparti germanici sono costretti a desistere e a ripiegare.
Diciassette caduti e 48 feriti, tra ufficiali, sottufficiali. appuntati, carabinieri e allievi, di alcuni molto gravi, sono il bilancio dei combattimenti sostenuti dalle unità dell'Arma per la Capitale.



Verranno concesse: la Medaglia d’Oro al Valor Militare (alla memoria) al capitano Orlando De Tommaso; la Medaglia d’Argento al Valor Militare al vicebrigadiere Giuseppe Cerini e al carabiniere Antonio Colagrossi (alla memoria); ad altri valorosi 3 Medaglie di Bronzo al Valor Militare e 25 Croci di Guerra al Valor Militare.


Bibliografia
A. Ferrara (a cura), I Carabinieri nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione, Ente Editoriale per l'Arma dei Carabinieri, Roma, 1978



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la battaglia di Roma - settembre 1943


8 settembre

Per difendere la capitale, il comando italiano dispone del C.A.M (Corpo Armata di Manovra) del gen. Carboni con 4 divisioni, "Granatieri di Sardegna", "Piave (motorizzata)", "Centauro" ex legionaria  e "Ariete (cor. cav.)" su un totale di 8 divisioni in organico. Alcune di queste infatti sono a ranghi ridotti e/o già provate su vari fronti di guerra e in via di riorganizzazione e recupero come la  "Piacenza", "Sassari", ma due, "Lupi di Toscana" e "Re" sono addirittura in parte su treni viaggianti verso Roma. Due le divisioni in piena efficienza, la "Piave" e l' "Ariete" sopra Roma a Bracciano. Con i reparti dei carabinieri (battaglione Allievi e Pastrengo), della Guardia di Finanza, della Polizia e della P.A.I. (Polizia Africa Italiana batt. Gessi L3 lanciafiamme e blindo Ab41-as43),) fanno in tutto circa 70.000 uomini  includendo il Rgt. Nebbiogeni, 8° Autieri (Cecchignola), 8° Genio, 81° fanteria, 2° Bersaglieri (XV batt. del 11° reggimento), 8° e 13° Artiglieria, Genova Cavalleria (12 Ab41 e 18 smv L40), ARABI (italiani rimpatriati dall'africa) e XXI Genio (CENTRO MARTE Comando SME a Monterotondo) e un reparto di scritturali.

Tre quarti d'ora dopo l’annuncio dell’Armistizio, un reparto di paracadutisti tedeschi investe il caposaldo numero 5 presidiato dai granatieri al ponte della Magliana, nei pressi di un deposito di carburante, in località Mezzocammino. E' l'inizio della battaglia per Roma. Giungeva verso Roma, da Ostia e Fiumicino, il grosso della 2° divisione Fallschirmjäger (che non aveva avuto problemi nel disarmare le unità costiere della 220° divisione e le troppo sparse fanterie della "Piacenza") e, poco dopo l'una di notte del 9 settembre, uno dei suoi tre kampfgruppe era già in grado di tentare un attacco frontale al ponte della Magliana. Al caposaldo giungono rinforzi di carabinieri e agenti della PAI (Polizia Africa Italiana). La postazione è perduta e ancora riconquistata. Cadono 38 italiani e 22 tedeschi. L'attacco tedesco si estende a ponte Galeria, e sulla sinistra del Tevere verso l' EUR, il Laurentino, la Cecchignola.


scontri vicno al caposaldo 5



9 settembre

Nelle prime ore del giorno, quando iniziarono a giungere le notizie dello sbarco di Salerno, fu investito direttamente il caposaldo 5 che teneva il ponte e tutti gli altri che ad uno ad uno cedettero.
L'intervento del Montebello Ariete, trasferito dall'Olgiata valse a riequilibrare la sorte e a rioccupare con il 600° gruppo semoventi del 235° artiglieria anch'esso Ariete il caposaldo 5. Un tentativo di sloggiare i tedeschi dalla periferia romana non ebbe successo, prima per il fuoco di sbarramento non coordinato dei Granatieri che investì i carri italiani poi per l'intervento da parte tedesca delle ottime armi anticarro in dotazione ai paracadutisti nella zona Montagnola, Tre Fontane.
Alle 5,15 del mattino del 9 arrivò l'ordine di spostare l'Ariete nella zona di Tivoli. Da quelle parti oltretutto c'era già la Centauro e forse era di questa che non si fidavano. A sera anche le restanti divisioni a Nord di Roma lasciarono i capisaldi con destinazione Tivoli.
Il piano di difesa di Roma si dimostra d'ora in poi inefficace, anche perché sconvolto dall' invio a Tivoli di due divisioni, l' "Ariete" di Cadorna e la "Piave" di Tabellini.
L'ordine era stato impartito dal CSM dell' esercito Mario Roatta per proteggere la fuga del re e di Badoglio a scapito della difesa di Roma
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Le due divisioni, l'"Ariete" e la "Piave", venivano praticamente distolte dai punti strategici difensivi lasciando anche strada libera alla 3a panzergrenadier  (si disse che non mosse tutti i reparti perché senza benzina). Gli ordini di puntare su Tivoli, la cui esecuzione era prevista nella notte tra l' 8 e il 9, erano subito apparsi senza senso, tanto che i due comandanti di divisione Cadorna e Tabellini, non informati del vero scopo, ne avevano ritardato l' esecuzione, inviando in avanguardia a Tivoli solo alcuni reparti. La mattina del 9  settembre l' "Ariete" si scontra quindi con la 3a panzer grenadier (divisione corazzata di fanteria) prima a Monterosi poi nei pressi di Bracciano lungo le vie Claudia e Cassia, costringendo il nemico a ripiegare con gravi perdite. I tedeschi lasciarono sul terreno molti carri. Alle prime luci dell’alba tutta la colonna tedesca era bloccata a Ronciglione.
Ma non è possibile sfruttare il successo. Il contrordine di mantenere le posizioni arriva mentre lo spostamento della forza corazzata è già in corso. La sera del 9 si concludeva con un nulla di fatto e una grande confusione. I granatieri e gli altri non avrebbero in quelle condizioni resistito a lungo.

Il tempo perso nei primi momenti della lotta, il non impiego di unità importanti, lo spostamento in zone non necessarie influenzeranno gli ultimi disperati atti di resistenza a Porta San Paolo a partire dal giorno 10.

Fu proprio in località Mezzocamino al deposito carburanti che avvenne il primo scontro tra i granatieri e gli ex alleati tedeschi. I parà tedeschi giunsero al deposito carburanti verso le 21 e rapidamente sopraffecero il piccolo reparto lì presente. Non appena il caposaldo numero 5, quello del ponte della Magliana che era distante appena un chilometro, si accorse della situazione, fu imbastito un contrattacco da parte di unità del III battaglione del 1° granatieri, rinforzate di alcune decine di carabinieri e guardie della PAI (Polizia dell'Africa Italiana). Purtroppo, però, a causa del buio ormai sceso e della solita cronica deficienza di coordinamento, dopo un rapido scontro a fuoco, che costò solo alcuni feriti, gli italiani tornarono ai loro capisaldi.

carri della 3a div. PanzerGren. a Roma

                               

10 settembre

I tedeschi tornano ad avanzare nella zona della piramide Cestia ed Eur investendo Porta S. Paolo, il piazzale Ostiense, Porta S. Sebastiano riuscendo ad avere la meglio sugli italiani. Vengono fatte uscire anche le truppe che erano rimaste consegnate nelle caserme in attesa di ordini. Si tratta delle ultime risorse schierate in campo: gruppi di squadroni del "Genova Cavalleria", un battaglione mortai della divisione "Sassari" con i soli fucili, tre compagnie del Deposito del 4° Carristi, reparti del 2° Bersaglieri, gli Allievi Carabinieri, i reparti chimici e le Compagnie Servizi, per coprire gli accessi alla città dal Testaccio a Porta Metronia, a Porta S. Giovanni, a Santa Croce: i tedeschi stanno per irrompere nella Capitale. Gli italiani si ritirano verso il centro città e, sulla passeggiata archeologica al Colosseo, avvengono gli ultimi scontri prima del cessate il fuoco delle 16.
Alle 10,45 era arrivato telefonicamente il contrordine per le divisioni corazzate di muovere su Roma. Passando a Sud di Roma attraverso Ciampino e Centocelle i tedeschi sarebbero stati presi alle spalle. La divisione Ariete si muove 7 ore dopo l'ordine quando ormai non serve più. Dopo i primi scontri agli aeroporti, arriva l'ordine di sospendere il fuoco nell'attesa di ulteriori comunicazioni.

La sera del 10 dentro la stazione Termini, il maggiore Carlo Benedetti con 13 soldati e numerosi civili difende il convoglio che, attestato sul terzo binario, ospita un comando operativo. Gli italiani hanno le armi individuali, i tedeschi una mitragliera da 20mm, immaginate coma va a finire.  Alle 21 è finito tutto. Questo combattimento, l'ultimo per la difesa di Roma in Roma, si è concluso con la morte di 6 militari e 41 civili. Qualche scontro si avrà però anche nella mattina dell'11, ultimi sussulti di gesta eroiche e sfortunate.  La divisione "Granatieri di Sardegna" ebbe 65 morti e circa 300 feriti in 36 ore di combattimenti.

La battaglia di PRATO SMERALDO
Alle prime luci del giorno 10 le prospettive di riuscire a sopraffarre i tedeschi erano svanite. All'ordine di cessare il fuoco una parte delle truppe si ritirò nelle caserme, altri - i Granatieri di Sardegna - non rispettando gli ordini ricevuti, continuarono a battersi. Comunque un ennesimo contrordine riportò nuovamente in strada i reparti usciti segnati dagli scontri con le artiglierie tedesche. Questa volta il concentramento è fissato per le ore 12 del giorno 10 nella zona di Piazza Venezia, del Colosseo, Passeggiata Archeologica, viale Aventino, Porta San Paolo, che diverrà poi il simbolo dell'estrema difesa di Roma. Con la perdita dei depositi di Benzina (Valleranello e Mezzocamino) si fermarono in breve i motori. Fu proprio in località Mezzocamino al deposito carburanti che avvenne il primo vero scontro tra i granatieri e gli ex alleati tedeschi. I parà tedeschi giunsero al deposito carburanti verso le 21 del giorno 8 e rapidamente sopraffecero il piccolo reparto lì presente (della divisione Piacenza e del Battaglione chimico: Vengono sorpresi e catturati dodici uomini, due cannoni e una mitragliatrice). Per la riconquista di quello della Magliana, il n. 5, il generale Solinas lanciò all’attacco il 1° Btg del 2° Granatieri, comandato dal maggiore Costa. Il contrattacco, sferrato verso la mezzanotte del 9 lungo la direttrice di Palazzo della Civiltà e del Lavoro, si esaurì ben presto. Le postazioni vennero rinforzate anche con l’arrivo dei reparti Pai (Polizia dell’Africa Italiana) rientrati, un battaglione della scuola Allievi Carabinieri, uno di Bersaglieri, il REC “Montebello”, il 600° Gruppo Semoventi da 105/25 della Divisione “Ariete”.

ufficiali della divisione Sassari trattano la resa


Con l’arrivo di queste forze venne pianificata la riconquista del caposaldo e del nodo strategico del Ponte della Magliana, che ebbe inizio alle 6,30 del 10 assente Solinas che era andato a prendere “possesso” del Q.G di Carboni che era sparito. Nella confusione dell'attacco venivano catturati ai tedeschi 2 preziosi rimorchi carichi di fusti di benzina (4 mila litri). Alle 10,00 l’azione si concludeva con la totale riconquista del caposaldo. E fu a questo punto che giunsero gli ordini dello S.M ordinanti un ripiegamento. Anche se l’ordine di ripiegare su Tivoli non venne formalmente rispettato dai reparti la loro azione era ormai senza sbocco e destinata ad estinguersi con l’esaurirsi delle limitate scorte di munizioni e carburante. 

Sotto: paracadutisi tedeschi con ufficiali italiani catturati.

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11 settembre
Nonostante sia già in vigore la tregua si scontrano carabinieri della "Legione Allievi e del "Gruppo Territoriale"
con tedeschi che li vogliono disarmare, in via del Gasometro, sul ponte Margherita, in via Nazionale. Incessanti e capillari sono i rastrellamenti di militari italiani da deportare. Vengono istituiti campi di raccolta sorvegliati dalle SS nei dintorni di Roma, il principale a Pratica di Mare, in attesa dei carri bestiame ferroviari con i quali avviare, piombati, i prigionieri ai lager, gli ufficiali principalmente in Polonia, i soldati in Germania. Il 18° R.E.Co bersaglieri, inquadrato dalla mattina del 10 nell'Ariete, riceve alle 17 gli stessi ordini e minacce fatte all'Ariete da foglietti lanciati da una cicogna (aereo leggero da ricognizione) tedesca. Ritiratosi a Settecamini subisce un attacco aereo da parte di JU87 e la mattina del 11, col comandante ferito, il reparto si disperde. Tanti altri piccoli gruppi si aprono la fuga sparando. In tutta Italia si spara ancora, di molti non si saprà nulla e di tanti non è stato possibile qui ricostruire le vicende. 


Il 10 settembre, alle ore 16, il tenente colonnello Leandro Giaccone firmò con il feldmaresciallo Kesselring l'accordo di resa per conto del generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo. L'accordo prevedeva che la Roma restasse città aperta ma fu ugualmente occupata dalle truppe tedesche. Subito dopo, tutte le unità del regio esercito nella zona furono disarmate e sciolte, esclusa parte della Divisione Piave, che restò in armi per garantire l'ordine pubblico nell'ambito del "Comando della Città aperta di Roma" (affidato allo stesso generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo) finché anche queste truppe vennero disarmate dai tedeschi il 23 settembre 1943 dopo la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana.
Calvi di Bergolo ordinerà ai militari sbandati di presentarsi nelle caserme per consegnare le armi individuali o di qualsiasi altro tipo siano in loro possesso. Pochi rispondono. Soldati e patrioti civili, cui si uniscono anche ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, formano invece bande partigiane nei dintorni di Roma.
 
gen. Mario Roatta

Una commissione d'inchiesta sulla mancata difesa di Roma fu insediata il 19 ottobre 1944 e chiusa il 5 marzo 1945. La commissione era presieduta dal sottosegretario alla Guerra Mario Palermo e composta dai generali Pietro Ago e Luigi Amantea.
La Commissione attribuì la responsabilità della caduta di Roma ai generali dell'Esercito Mario Roatta (vigliaccamente fuggito senza lasciare ordini) e Giacomo Carboni (in fuga ma fermato a Tivoli dai tedeschi).  


Lapidario il giudizio della Commissione d’Inchiesta sul generale Carboni, per il modo disonorevole in cui aveva condotto la difesa di Roma:IN TUTTA LA STORIA MILITARE DELLA NOSTRA PATRIA, NON SI HA ESEMPIO SIMILE DI CONDOTTA DI UN CAPO DI FRONTE AL NEMICO”.





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v.brig. Salvo D'Acquisto


Salvo D'Acquisto: azioni precedenti al suo sacrifico

Salvatore D’Acquisto si è immolato il 23 settembre 1943 a Torre di Palidoro per impedire una strage di civili da parte tedesca. E’ noto.  Meno noto è il contesto in cui operava il vicebrigadiere D’Acquisto, cioè la stazione dei carabinieri di Torrimpietra, che è un esempio del contributo dato dai carabinieri alla “battaglia di Roma” e alla resistenza contro i tedeschi.

Il 9 settembre del 1943, pochi giorni prima del sacrificio di D’Acquisto, la stazione di Torrimpietra infatti aveva dato il meglio di sé a Ponte Statua con un posto di blocco che aveva originato un forte scontro armato con una colonna tedesca che stava dirigendosi verso il nord.

Il posto di blocco che innesca lo scontro è inizialmente composto dal vicebrigadiere Russo e dai carabinieri Mario Conti, Pietro Spricico, Luigi Pettinari e Pietro De Luca. Li ha messi lì, a controllo della strada, il comandante della stazione maresciallo Monteforte, in aiuto ai soldati del battaglione Costero.

Immaginiamoceli questi cinque carabinieri che insieme ai soldati aprono il fuoco contro un convoglio tedesco composto da trenta automezzi. Ai primi colpi accorrono in loro sostegno gli altri carabinieri della stazione, probabilmente con loro c’era anche Salvo D’Acquisto.

Lo scontro è molto forte, cinque tedeschi rimangono sul terreno, altri 35 vengono catturati e fatti prigionieri, tra loro anche il comandante della colonna, un colonnello. L’azione comporta anche il sequestro di materiale bellico, mitra, mitragliatrici, bombe.

E’ un episodio poco noto della resistenza a Roma nei giorni dell’armistizio. Insieme alla battaglia della Magliana, molto più conosciuta, e soprattutto insieme a una molteplicità di episodi in apparenza minori che vede impegnati altri carabinieri contro i tedeschi rappresenta la punta di un iceberg che riemerge dalle carte che siamo andato a consultare all’archivio storico dei carabinieri in viale Giulio Cesare a Roma.
(... i documenti) mostrano una partecipazione diffusa, di oltre la metà delle stazioni, alla resistenza di fatto ai tedeschi, un comportamento quasi di getto che poi in seguito porterà uomini e mezzi alle formazioni della resistenza a partire dalla celebre Banda Caruso (dal nome del generale) in cui sarebbero confluiti oltre 500 carabinieri.

Questo quadro spiega così anche le ragioni della deportazione in Germania di oltre duemila carabinieri scattata il 4 ottobre: l’inaffidabilità per i tedeschi dei carabinieri era stata motivata da qualcosa di più di un semplice sospetto. I numerosi caduti nelle giornate dell’8 settembre stavano lì a dimostrarlo, così come i successivi deportati e internati in Germania.



N.B. L'otto settembre gli ottantamila uomini della Benemerita avevano ricevuto dal loro comandante, il generale Angelo Cerica, l'ordine di "restare al proprio posto". Bisognava continuare a "...svolgere il servizio. Gli sbandamenti devono essere assolutamente impediti".
Mario Soldati, nell'introduzione ai suoi Nuovi racconti del Maresciallo, editi da Rizzoli nel 1984, dice che il suo protagonista pronunciava la parola Servizio così, con la "S" maiuscola, perché "per lui è sempre stata la più sacra di tutte... "
Il grande scrittore aveva centrato quella peculiarità che fa, come faceva già in passato, dell'Arma Benemerita un unicum nel vasto panorama delle nostre forze armate.

Il carabiniere ha le stellette, è anch'egli un soldato. Ma a differenza del soldato, che spesso vive una realtà di caserma ben distinta da quella del civile, il carabiniere vive tra la gente, ha la consegna di "difendere a qualsiasi prezzo la comunità a lui affidata".

Il carabiniere è la presenza tranquillizzante, è il soldato che combatte quotidianamente la sua guerra per il mantenimento della civile convivenza e per il rispetto delle leggi. La doppia veste, di militare e di poliziotto, ha fatto sì che tra i carabinieri i casi di malcostume, corruzione, abuso (presenti anche nelle migliori polizie del mondo) siano sempre stati limitati e, in genere, rapidamente repressi. La disciplina e l'inquadramento militare hanno fatto insomma del carabiniere un poliziotto assolutamente speciale, tant'è che tra la malavita la figura del carabiniere ispira, e ha sempre ispirato, quella paura mista a metus reverentialis che si prova solo nei confronti di chi si avverte come naturalmente superiore.
 
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La difesa di Roma, sette domande


Di team557    

Sette domande sicuramente destinate a rimenere senza risposta.

1) Come mai, pur essendo a conoscenza delle nostre croniche carenze di approvvigionamento di carburante, nelle prime ore dopo la proclamazione dell’armistizio, la sera dell’8 settembre, il nostro C.S. non si preoccupò di difendere adeguatamente i due depositi di Mezzocamino e Valleranello?
Tale ingiustificabile di­menticanza permise ai tedeschi, già fin dalle ore 20,30 dell’ 8 settembre, di occupare entrambi i nostri preziosissimi depositi, mettendo in ginocchio la mobilità delle nostre poche truppe a difesa dei punti chiave.

2) Come mai i tedeschi, la notte dell’8 settembre, lasciarono passare il corteo reale sulla Tiburtina, senza creare alcuna dif­ficoltà, né ostacolo? Un’ipotesi formulata da Ruggero Zangrandi parla addirittura di un patto: il famoso “patto scellerato” conclu­so tra Ambrosio e Kesselring: in cambio della libertà del re, del Governo e dei comandi militari, si sarebbe concesso ai tedeschi di prendere possesso di Roma, di liberare Mussolini e soprattutto di poter contare sul … dissolvimento del nostro esercito.
Cosa suc­cesse quella notte? In particolare cosa successe tra le ore 23 del giorno 8 e le ore 4 della mattina del giorno 9 quando si decise la fuga a Pescara?

3) Come mai si preferí non dare nes­suna specifica istruzione agli oltre due milioni di soldati impe­gnati sui vari fronti di combattimento?

4) Coma mai Carboni, la mattina del 10 settembre, smentendo se stesso, riacquistò un tono determinato dopo ore di silenzio, emanando ordi­ni precisi per la difesa di Roma? Ma poi, come mai, nel pomeriggio, accettò anche lui l’ipotesi della resa?

5) Come mai il generale Ambrosio decise di partire per Torino proprio la sera del 7 settembre, sapendo che il generale america­no Taylor era in arrivo a Roma per organizzare l’aviosbarco della 82° divisione paracadutisti? E come mai decise, vista la delicatez­za del momento, di prendere il treno e non l’aereo com’era stato ripetutamente consigliato dai suoi collaboratori? È vera l’ipotesi che Ambrosio prese il treno perché doveva portare, in gran segre­to, a Roma il maresciallo Caviglia che avrebbe dovuto sostituire Badoglio alla guida di un nuovo Governo in grado di gestire me­glio sia i rapporti con gli alleati sia con i tedeschi?

6) Qualcuno sabotò la difesa di Roma e se sí, perché?
All’alba del 10 il comando della Granatieri ricevette un ordine di cessare qualunque ostilità contro i tedeschi. «Sono in corso le modalità della sospensione delle ostilità – diceva il fonogramma ricevuto dallo S.M. della divisione del generale Solinas – Le truppe riman­gono sul posto e si fronteggeranno senza sparare».
Si pensava che l’ordine fosse stato diramato dal comando del C.A.M.: in realtà nessuno tra i collaboratori di Carboni emanò tale direttiva. Le conseguenze furono deleterie e colpirono soprattutto gli avampo­sti della Granatieri.
Si è parlato della “quinta colonna” tedesca ma qualcuno fece un ipotesi molto piú sconvolgente: furono ufficiali italiani, in divisa o in borghese, quasi sempre non meglio indivi­duati, a far circolare tra le truppe notizie false e comunque esortanti il “cessate il fuoco”.
Perché? E per ordine di chi?
La Commissione d’Inchiesta Palermo non si occupò della questione! Perché?

7) L’ultimo mistero non chiarito riguarda il mancato intervento dell’aviazione alleata su Roma nelle giornate del 9 e del 10 settembre 1943.
Nonostante le specifiche richieste formulate a riguardo dal gen. Carboni, non si vide neanche l’ombra di un caccia o di un bombardiere alleato. Come mai?
Come mai gli alleati furono così sordi alle nostre richieste?

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1 commento:

  1. Non è la solita storia del martire inerme Salvo D'Acquisto.

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